Spesso le persone che soffrono di disturbi d'ansia non sono consapevoli di mettere in atto processi mentali o comportamenti che fanno si che il loro problema si mantenga anziché risolversi. Esistono alcuni macroprocessi che ora andrò a descrivere responsabili di questo fenomeno.
Bibliografia: S. Sassaroli, R. Lorenzini, G.M. Ruggiero - "Psicoterapia cognitiva dell'ansia" - Raffaello Cortina Editore
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Iniziamo col dire che l'ansia ha una funzione adattativa, è l'emozione in grado di preparare l'organismo ad affrontare un pericolo (reale o percepito come tale) e ad approntare il comportamento di risposta all'evento, la fuga o l'attacco. Quanto maggiore sarà la posta in gioco tanto maggiore sarà l'intensità dei meccanismi preparatori. Anche il fattore tempo ha la sua importanza: maggiore, infatti, sarà l'incombere della minaccia tanto più elevata sarà la risposta preparatoria.
Le accresciute necessità energetiche dell'organismo, correlate al fronteggiamento, vengono soddisfatte mediante un apporto aumentato di ossigeno, carburante indispensabile per le reazioni energetiche. La necessità di un maggior apporto di ossigeno viene assicurata dall'aumento della frequenza respiratoria e dalla dilatazione bronchiale, con conseguente sensazione di fame d'aria. In seguito, la maggior assunzione di ossigeno, non accompagnata a un suo maggior consumo, porta ad un aumento della pressione dell'ossigeno con conseguente sbilanciamento della pressione dell'anidride carbonica. Tale situazione comporta l'instaurarsi di meccanismi di compenso, tra cui la vasocostrizione cerebrale, responsabile della sensazione di capogiro, perdita dei sensi, squilibrio. Al cuore spetta il compito di fornire il maggior apporto sanguigno ai tessuti implicati nella risposta, mediante l'aumento della gittata cardiaca, responsabile della sensazione di tachicardia, palpitazioni, costrizione faringea e oppressione precordiale, assai simile a quella avvertita nei casi di coronaropatia. La dilatazione pupillare permette alla luce di colpire con maggior intensità la retina allo scopo di consentire all'organismo attivato una visione più acuta di ciò che si appresta a succedere. Il maggior ingresso di luce causato dalla midriasi può spiegare in parte l'interpretazione di depersonalizzazione e derealizzazione avvertita, ed erroneamente interpretata come segno di imminente dissoluzione mentale (paura d'impazzire). La vasocostrizione periferica cutanea permette di dirottare maggiori quantità di sangue verso gli organi più importanti per la risposta e determina la contrazione dei muscoli piliferi con conseguente piloerezione e pelle d'oca. E spiega anche l'aspetto pallido della cute di chi è in preda alla paura. La muscolatura liscia del tratto gastrointestinale viene inibita in quanto ben si comprende come in un'ottica di ergonomizzazione ed economizzazione energetica, i processi legati alla digestione vengano posti in secondo piano. La sensazione di tensione o crampi addominali può spiegarsi in tal senso. Vescica e ampolla rettale vanno incontro allo svuotamento per contrazione dei rispettivi muscoli detrusori. Ciò va inteso nel senso finalistico di eliminazione dei pesi superflui che possono gravare sul corpo in lotta o in veloce fuga dal nemico. Così si spiegano gli episodi di diarrea. La salivazione diminuisce notevolmente, causando la sensazione di secchezza delle fauci. Il tono muscolare aumenta ponendo, quindi, i muscoli in un miglior stato attitudinale alla pronta ed efficacie risposta. il tremore delle estremità può essere inquadrato proprio nello stato di tensione preparatoria che il sistema muscolare subisce ma può essere erroneamente interpretato come inizio di un grave stato di malattia. L'incremento secretorio dei potenti neuromediatori, adrenalina e noroadrenalina, media i fenomeni sin qui descritti e comporta anche una maggiore attivazione, a livello centrale, cerebrale, con conseguente attivazione dell'attenzione, accelerazione del pensiero, talora sensazione di depersonalizzazione e derealizzazione, modificazione della percezione delle distanze, tremori e parestesie. Tutte sensazioni che contribuiscono al falso allarme e alla credenza di morte o grave pazzia incombente. Bibliografia: S. Sassaroli, R. Lorenzini, G.M. Ruggiero - "Psicoterapia cognitiva dell'ansia" - Raffaello Cortina Editore Immaginate la scena di un film horror...un uomo solo di notte circondato dalla nebbia...in lontananza si sentono rumori che possono essere provocati da un mostro che presumibilmente ha cattive intenzioni. Come si sentirà il poveretto? Molto agitato come minimo, ma anche in trappola: cosa fare? Non sa chi deve affrontare e, anche volendo scappare, da che parte?
A quel punto al nostro protagonista non resta che accovacciarsi, nascondersi sotto un cespuglio...ammesso che ci sia, è sperare che qualcosa accada. Questo è quello che succede alle persone che soffrono di disturbi d'ansia, si sentono come il personaggio di questa vicenda: hanno paura di qualcosa, si preoccupano ma non sanno bene di cosa e, soprattutto, rimangono "intrappolati" perché non sanno come uscire dalla situazione. Ma continuiamo la nostra storia, nel momento in cui tutto sembra senza soluzione, ecco che all'uomo vengono in mente le parole di un uomo saggio del paese il quale diceva: "Quando hai paura di qualcosa, immagina la cosa peggiore che può succedere e preparati ad affrontarla". Così fa il nostro protagonista, mentre è nascosto si immagina un mostro terribile e fortissimo e anche un modo per sconfiggerlo. In un attimo, mentre fa questa operazione, come per magia, ecco che la nebbia si dirada...diventa foschia...e si possono percepire le sagome, non ben distinte ma è già qualcosa. Ora cosa può fare l'uomo? Sa dov'è il mostro e quindi ha due possibilità: scappare a gambe levate nella direzione opposta oppure andare verso il nemico, vederlo bene in faccia e capire una volta per tutte con chi ha a che fare. Cosa farà? Se scapperà non risolverà il suo problema perché la prossima volta che si troverà nella medesima situazione avrà di nuovo paura; se invece lo affronterà potrà rendersi conto se è il caso di scappare, ma questa volta sapendo bene con chi avrà a che fare e quindi potrà preparasi al meglio per l'eventuale futura battaglia, o se invece basta un colpetto per averne la meglio. Voi cosa fareste? Questo è quello che si dovrebbe fare per superare l'ansia: ascoltare le parole del saggio (sarà anche uno psicoterapeuta?...Mah) e poi affrontare una volta per tutte la situazione che ci spaventa perché continuare ad evitarla non ci permetterà di conoscere la verità e di confutare le nostre credenze! Calcolare l'intensità dell'ansia provata in un certo momento è possibile. Grazie ad uno psicologo di nome Salkovskis, il quale ha elaborato "l'equazione dell'ansia", si può avere un'indicazione di quanto è alta l'ansia in un determinato periodo ma non solo, è possibile lavorare sui singoli fattori per imparare a gestirla.
L'equazione è la seguente: Gravità dell'evento temuto x Probabilità che l'evento si verifichi Ansia = ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ Capacità di sopportare l'emozione x Possibilità di rimediare se si verifica l'evento Utilizzando questa formula, una volta costruito nei dettagli l'evento temuto (ciò che ci preoccupa e ci mette in ansia), è possibile cominciare a porci delle domande su di esso, come per esempio: è veramente così grave ciò che accadrebbe? E quanto è probabile? Se rispondere a queste domande non ci tranquillizza a sufficienza, si può passare a considerare la parte inferiore dell'equazione, che riguarda più le nostre risorse interne, e quindi domandarsi: mettiamo che l'evento temuto si verifichi, ho le risorse, o comunque la possibilità, per rimediare a quello che eventualmente è successo? In pratica si tratta di ragionare per costruire un "Piano B". Se anche il "Piano B", la scappatoia, non è abbastanza o non è realizzabile, conviene pensare alla nostra capacità di tollerare l'eventuale emozione negativa derivante dal verificarsi dell'evento temuto, che prove ho del fatto che non la sopporterò, che non finirà mai, che potrei impazzire o addirittura morirne? E qui ci vengono in aiuto gli studi scientifici sulle emozioni: nessuna persona può morire di emozioni per quanto brutte e intense siano, nessuna emozione dura per sempre. Vi siete mai chiesti cosa ci spinge a preoccuparci? Sono le cosiddette "credenze centrali", in questo modo vengono chiamate dagli esperti, che ci inducono a farlo. A dispetto delle innumerevoli possibili preoccupazioni, queste credenze centrali, che sono il loro "motore", non sono molte.
Vediamole una per una:
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Blog del Dr. Fabio Boccaletti - Psicologo e PsicoterapeutaCategorie
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