DR. FABIO BOCCALETTI - PSICOLOGO E PSICOTERAPEUTA
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DISTURBO DA STRESS POST-TRAUMATICO COMPLESSO

Il Disturbo da Stress Post-Traumatico Complesso (Herman, 1992) è forse la configurazione post traumatica non appartenente al DSM meglio conosciuta. Si ritiene che la sindrome abbia origine da traumi severi, prolungati e ripetuti, soprattutto di natura interpersonale.
Oltre ai consueti sintomi del Disturbo da Stress Post-Traumatico possono essere presenti:
  • Alterazioni nella regolazione delle emozioni: quindi difficoltà di modulare la rabbia e la paura, comportamenti autolesivi, comportamenti o preoccupazioni suicidarie, difficoltà nella modulazione del coinvolgimento sessuale, tendenza eccessiva a comportamenti a rischio.
  • Disturbi della coscienza e dell'attenzione: amnesie di alcuni momenti o anni della propria vita, episodi dissociativi transitori, depersonalizzazione.
  • Somatizzazioni: disturbi al sistema digerente, dolori cronici, sintomi cardiopolmonari, sintomi da disfunzioni sessuali.
  • Alterazioni della percezione di sé: senso d'impotenza e scarsa efficacia personale, sensazione di essere danneggiati, senso di colpa e di responsabilità eccessivi, vergogna pervasiva, idea di non poter essere compresi.
  • Alterazioni nella percezione delle figure maltrattanti: tendenza ad assumere la prospettiva dell'altro (me lo sono meritato), idealizzazione del maltrattante, timore di danneggiare il maltrattante.
  • Disturbi relazionali: incapacità o difficoltà ad aver fiducia negli altri, tendenza ad essere rivittimizzato, tendenza a vittimizzare gli altri.
  • Alterazione nei significati personali: disperazione e senso di inaiutabilità, visione negativa di sé, perdita delle convinzioni personali.
I traumi interpersonali, che possono portare allo sviluppo di questo disturbo, vanno cercati all'interno della relazione tra bambino e caregiver, ed in particolare nelle situazioni in cui vengono attivati il sistema motivazionale interpersonale di attaccamento in seguito ad un evento che attiva il sistema motivazionale di difesa. Se un bambino prova una sofferenza fisica od emotiva si attiva il sistema motivazionale di difesa (con le reazioni di fuga (flight), attacco (fight), congelamento (freezing) e collasso (faint)...simile alla morte apparente negli animali) la cui emozione principale, la paura, può essere gestita attivando il sistema motivazionale interpersonale di attaccamento alla ricerca di sicurezza e protezione. In genere, vedere un bambino in difficoltà, suscita nell'adulto l'attivazione del sistema motivazionale interpersonale di accudimento che fa si che venga data protezione e sicurezza. Ma cosa accade se chi dovrebbe dare sicurezza è anche la persona che attiva il sistema motivazionale di difesa? Per esempio perché alle richieste di aiuto del bambino lo aggredisce, lo umilia, "non lo vede" più e più volte (magari perché impegnato a gestire sue difficoltà personali) o va in ansia e gliela trasmette? Il bambino prova impotenza nel gestire la sua sofferenza (perché non è in grado di disattivare il sistema motivazionale di difesa) e questo porta a sperimentare un trauma con conseguente dissociazione (in quanto il perdurare dell'attivazione del sistema motivazionale di difesa impedisce l'uso delle funzioni superiori della coscienza). Conseguenza della dissociazione è che una parte della personalità rimane fissata al tempo del trauma (non integrata), in pratica quella parte non si rende conto che il pericolo è passato e che quindi può smettere di agire come allora. Se uno stimolo, un trigger attivano quella parte perché simili in qualche modo all'evento traumatico, la persona sentirà e agirà come all'epoca del trauma senza ricordarlo (ne va da sé che più il trauma è precoce e più la reazione sarà "infantile"). Altra conseguenza è che l'impotenza peritraumatica fa percepire un non controllo della situazione con conseguente vergogna e senso di colpa: la "paralisi" viene attribuita ad un difetto personale, ad una mancanza piuttosto che, come sarebbe corretto, alla risposta di freezing o collasso del sistema motivazionale di difesa e quindi alla biologia. Vergogna e senso di colpa sono poi le emozioni che mantengono dissociazione e disturbo. Inficiando lo sviluppo ottimale del sistema comportamentale dell'attaccamento, quando una persona sente le sensazioni e le emozioni ad esso collegate come debolezza, vulnerabilità, bisogno di protezione, prova paura perché diventano come un segnale dell'imminente trauma, sviluppando quella che si chiama fobia degli stati interni e conseguente fobia dell'attaccamento (di pari passo si sviluppa anche la fobia della perdita dell'attaccamento sotto la spinta del bisogno di sicurezza), altri ostacoli alla risoluzione del disturbo. La persona è combattuta tra il bisogno di aiuto/sicurezza e paure come dipendenza (in realtà sottomissione), giudizio, umiliazione, aggressione e abbandono. I rischi sono quelli di oscillare tra l'una e l'altra senza confini personali sicuri: se prevale la fobia della perdita dell'attaccamento si riducono i confini e si rischia di essere "invasi" dall'altro fino alla simbiosi, se prevale la fobia dell'attaccamento i confini sono troppo rigidi per cui si rischia di non entrare mai in intimità con l'altro fino a sottrarsi dalla relazione.

Vedi anche i seguenti articoli:
- Il Disturbo da Stress Post-traumatico in età evolutiva
- I sistemi motivazionali
- Teoria Polivagale di Porges e Sitema di Difesa nei traumi

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