DISTURBO DA ATTACCHI DI PANICO E AGORAFOBIA
Paolo ha seriamente pensato di morire quando, trovandosi alla guida della sua auto, ha improvvisamente sentito un forte dolore al petto, un aumento repentino del ritmo cardiaco e uno strano formicolio agli arti superiori. Convinto di essere stato colpito da infarto, ha chiesto al fratello di prendere il suo posto alla guida e di accompagnarlo subito al pronto soccorso dove, dopo un attento esame, i medici hanno escluso la presenza di cardiopatie.
Da un paio di mesi Carla è molto preoccupata per il proprio equilibrio mentale. Si è sempre considerata una donna razionale e determinata, ma da qualche tempo le capita, saltuariamente e “a ciel sereno”, di avvertire un’intensa “fame d’aria” e una sensazione di “testa leggera” e sbandamento, si sente distaccata da sé stessa e teme enormemente che prima o poi perderà il controllo di sé. Nonostante tale timore, non ha cambiato in modo significativo il proprio stile di vita.
Corrado ormai da anni conduce una vita molto ritirata. Dopo un periodo caratterizzato da frequenti attacchi di panico, ora si dice terrorizzato dall’idea di poterne avere altri. Non prende più mezzi pubblici, non usa più l’automobile, evita le code e i luoghi affollati, non viaggia, e dopo alcuni mesi di aspettativa ha ottenuto di poter svolgere il suo lavoro da casa attraverso l’uso del computer. Si allontana dalla sua abitazione solo in caso di stretta necessità e solo se accompagnato da un familiare.
Cos’hanno in comune Paolo, Carla e Corrado? Tutti e tre hanno sperimentato alcuni dei sintomi tipici dell'attacco di panico. Se però Paolo ha finora avuto un solo attacco di panico (va precisato che a chiunque, in condizioni di estremo pericolo, può capitare di provare panico e che un singolo attacco di questo tipo non è sufficiente per fare diagnosi di disturbo di panico), Carla sembra invece aver già sviluppato un vero e proprio disturbo da attacchi di panico, ossia, una condizione caratterizzata da attacchi inaspettati e ricorrenti e da una persistente preoccupazione per le implicazioni di tali attacchi che dura da oltre un mese.
Corrado, infine, teme situazioni o luoghi dai quali sarebbe difficile allontanarsi, o nei quali potrebbe non essere disponibile aiuto nel caso della comparsa dei sintomi del panico e ha organizzato gran parte della propria esistenza intorno a questa paura evitando le situazioni temute e allontanandosi da casa solo se accompagnato. Il suo problema sembra perciò avere tutte le caratteristiche di due disturbi: il primo è il disturbo da attacchi di panico e il secondo l'agorafobia.
Palpitazioni, sudorazione, tremori, dispnea, sensazione di asfissia, dolore al petto, nausea, sensazioni di instabilità e sbandamento, derealizzazione o depersonalizzazione, paura di perdere il controllo o di impazzire, paura di morire, parestesie (ad es. avvertire formicolii), brividi o vampate di calore sono i sintomi tipici dell'attacco di panico che solitamente compaiono inaspettatamente (almeno la prima volta) raggiungendo il picco nel giro di una decina di minuti. È necessaria la presenza di almeno quattro di essi perché si possa diagnosticare un attacco di panico vero e proprio.
Spesso la persona che ne è colpita prova a "gestirlo" mettendo in atto una serie di comportamenti protettivi (ad esempio, inizia a respirare molto rapidamente) che nella maggior parte dei casi peggiorano la situazione amplificando le sensazioni del panico (l’iperventilazione, ad esempio, può peggiorare le sensazioni di vertigine, disorientamento e confusione). E, non di rado, all’intensa e persistente preoccupazione che l’attacco possa ripresentarsi segue l’evitamento di situazioni (quali ad esempio, luoghi affollati, mezzi pubblici, code, ecc.) in cui non sarebbe disponibile aiuto o da cui sarebbe difficile allontanarsi in caso di attacco, sviluppando quindi quella che si chiama agorafobia. Le situazioni in cui si manifestano i timori agorafobici sono ad esempio l’essere fuori casa da soli, l’essere in mezzo alla folla o in coda, l’essere su un ponte, viaggiare in automobile o con altri mezzi di trasporto (ad esempio, treni o autobus). In generale, la persona con agorafobia sembra particolarmente sensibile alla solitudine (intesa soprattutto come lontananza da persone o luoghi familiari), agli spazi aperti (quali ad esempio, le piazze) e alle situazioni costrittive (quali ad esempio, luoghi chiusi e angusti, o rapporti vissuti come troppo limitanti la propria libertà). Le situazioni temute vengono evitate (per es., gli spostamenti vengono ridotti), oppure sopportate con molto disagio o con l’ansia di avere un attacco di panico, e non di rado affrontate con la presenza di un compagno.
Anche un solo attacco può sensibilizzare la persona rispetto ai segnali dell’ansia portandola a sviluppare una vera e propria paura della paura. Questo particolare tipo di paura (nota in letteratura scientifica con il nome inglese di anxiety sensitivity) porta l’individuo a interpretare come gravemente minacciosi per la propria integrità fisica o mentale i segnali di attivazione neurovegetativa (anche quelli del tutto fisiologici) e dunque a reagire ad essi in modo ansioso. L’ansia che ne deriva spaventa a sua volta la persona avviando un vero e proprio circolo vizioso che può condurla in breve tempo ad un attacco. La paura della paura, insieme agli effetti indesiderati dei comportamenti protettivi, è perciò in buona misura responsabile della comparsa di nuovi attacchi di panico e, in definitiva, dello sviluppo e mantenimento del disturbo. Gli evitamenti contribuiscono a rendere ancora più problematico il quadro e svolgono un ruolo non secondario nel mantenimento del disturbo precludendo di fatto alla persona di verificare, attraverso l’esposizione ad esperienze correttive, la fondatezza delle proprie preoccupazioni.
Da un paio di mesi Carla è molto preoccupata per il proprio equilibrio mentale. Si è sempre considerata una donna razionale e determinata, ma da qualche tempo le capita, saltuariamente e “a ciel sereno”, di avvertire un’intensa “fame d’aria” e una sensazione di “testa leggera” e sbandamento, si sente distaccata da sé stessa e teme enormemente che prima o poi perderà il controllo di sé. Nonostante tale timore, non ha cambiato in modo significativo il proprio stile di vita.
Corrado ormai da anni conduce una vita molto ritirata. Dopo un periodo caratterizzato da frequenti attacchi di panico, ora si dice terrorizzato dall’idea di poterne avere altri. Non prende più mezzi pubblici, non usa più l’automobile, evita le code e i luoghi affollati, non viaggia, e dopo alcuni mesi di aspettativa ha ottenuto di poter svolgere il suo lavoro da casa attraverso l’uso del computer. Si allontana dalla sua abitazione solo in caso di stretta necessità e solo se accompagnato da un familiare.
Cos’hanno in comune Paolo, Carla e Corrado? Tutti e tre hanno sperimentato alcuni dei sintomi tipici dell'attacco di panico. Se però Paolo ha finora avuto un solo attacco di panico (va precisato che a chiunque, in condizioni di estremo pericolo, può capitare di provare panico e che un singolo attacco di questo tipo non è sufficiente per fare diagnosi di disturbo di panico), Carla sembra invece aver già sviluppato un vero e proprio disturbo da attacchi di panico, ossia, una condizione caratterizzata da attacchi inaspettati e ricorrenti e da una persistente preoccupazione per le implicazioni di tali attacchi che dura da oltre un mese.
Corrado, infine, teme situazioni o luoghi dai quali sarebbe difficile allontanarsi, o nei quali potrebbe non essere disponibile aiuto nel caso della comparsa dei sintomi del panico e ha organizzato gran parte della propria esistenza intorno a questa paura evitando le situazioni temute e allontanandosi da casa solo se accompagnato. Il suo problema sembra perciò avere tutte le caratteristiche di due disturbi: il primo è il disturbo da attacchi di panico e il secondo l'agorafobia.
Palpitazioni, sudorazione, tremori, dispnea, sensazione di asfissia, dolore al petto, nausea, sensazioni di instabilità e sbandamento, derealizzazione o depersonalizzazione, paura di perdere il controllo o di impazzire, paura di morire, parestesie (ad es. avvertire formicolii), brividi o vampate di calore sono i sintomi tipici dell'attacco di panico che solitamente compaiono inaspettatamente (almeno la prima volta) raggiungendo il picco nel giro di una decina di minuti. È necessaria la presenza di almeno quattro di essi perché si possa diagnosticare un attacco di panico vero e proprio.
Spesso la persona che ne è colpita prova a "gestirlo" mettendo in atto una serie di comportamenti protettivi (ad esempio, inizia a respirare molto rapidamente) che nella maggior parte dei casi peggiorano la situazione amplificando le sensazioni del panico (l’iperventilazione, ad esempio, può peggiorare le sensazioni di vertigine, disorientamento e confusione). E, non di rado, all’intensa e persistente preoccupazione che l’attacco possa ripresentarsi segue l’evitamento di situazioni (quali ad esempio, luoghi affollati, mezzi pubblici, code, ecc.) in cui non sarebbe disponibile aiuto o da cui sarebbe difficile allontanarsi in caso di attacco, sviluppando quindi quella che si chiama agorafobia. Le situazioni in cui si manifestano i timori agorafobici sono ad esempio l’essere fuori casa da soli, l’essere in mezzo alla folla o in coda, l’essere su un ponte, viaggiare in automobile o con altri mezzi di trasporto (ad esempio, treni o autobus). In generale, la persona con agorafobia sembra particolarmente sensibile alla solitudine (intesa soprattutto come lontananza da persone o luoghi familiari), agli spazi aperti (quali ad esempio, le piazze) e alle situazioni costrittive (quali ad esempio, luoghi chiusi e angusti, o rapporti vissuti come troppo limitanti la propria libertà). Le situazioni temute vengono evitate (per es., gli spostamenti vengono ridotti), oppure sopportate con molto disagio o con l’ansia di avere un attacco di panico, e non di rado affrontate con la presenza di un compagno.
Anche un solo attacco può sensibilizzare la persona rispetto ai segnali dell’ansia portandola a sviluppare una vera e propria paura della paura. Questo particolare tipo di paura (nota in letteratura scientifica con il nome inglese di anxiety sensitivity) porta l’individuo a interpretare come gravemente minacciosi per la propria integrità fisica o mentale i segnali di attivazione neurovegetativa (anche quelli del tutto fisiologici) e dunque a reagire ad essi in modo ansioso. L’ansia che ne deriva spaventa a sua volta la persona avviando un vero e proprio circolo vizioso che può condurla in breve tempo ad un attacco. La paura della paura, insieme agli effetti indesiderati dei comportamenti protettivi, è perciò in buona misura responsabile della comparsa di nuovi attacchi di panico e, in definitiva, dello sviluppo e mantenimento del disturbo. Gli evitamenti contribuiscono a rendere ancora più problematico il quadro e svolgono un ruolo non secondario nel mantenimento del disturbo precludendo di fatto alla persona di verificare, attraverso l’esposizione ad esperienze correttive, la fondatezza delle proprie preoccupazioni.