Quali sono le differenze (e somiglianze) tra una psicoterapia e un qualunque trattamento medico? Ho pensato di scrivere un post su questo argomento in quanto molti pazienti che giungono nel mio studio non hanno ben chiara questa differenza che è invece basilare. Proverò a calarmi nei panni di una persona che non è né psicoterapeuta né medico, pertanto cercherò di usare i termini più semplici possibile per spiegare le ragioni per cui i due approcci sono fondamentalmente molto diversi.
Un primo motivo di confusione è sicuramente dato dal fatto che, di fronte ad un disagio psicologico, proviamo una sofferenza così come quando abbiamo un problema di natura strettamente medico e, in effetti, tale disagio può essere trattato, in alcuni casi, farmacologicamente. La sofferenza provata tende a confondere la natura dei due dolori, fisico e psicologico; quindi, seguendo la consuetudine, ci si aspetta il medesimo trattamento. Inoltre, le attese del paziente spesso si fondano sulla familiarità e conoscenza che generalmente ha con l'approccio medico: quante volte nella nostra vita siamo stati da un medico rispetto che da uno psicoterapeuta? Quante volte anche in presenza di un disagio psicologico ci rivolgiamo per primo al medico di famiglia? Quanto è più facile trovare sui media e sui giornali argomenti che trattano di medicina piuttosto che di psicologia? Per questi, e sicuramente altri motivi (che potete aggiungere nei commenti, se volete), chi si presenta dallo psicoterapeuta, in maniera più o meno consapevole, si aspetta un trattamento che somiglia ad un approccio medico. Iniziamo ad entrare in argomento con una somiglianza: tutti e due gli approcci prevedono una fase iniziale di diagnosi cioè capire quale sia il problema portato dal paziente ma, da questa somiglianza, nascono le prime differenze. Sia il medico che lo psicoterapeuta partono dapprima con domande per cercare di definire meglio il disagio: quali sono le manifestazioni (sintomi), quando è iniziato, se è la prima volta o ce ne sono state altre, ecc. Ma ecco che subentra la prima differenza di non poco conto: se il medico ha dubbi può "osservare" direttamente il problema toccando la parte, auscultando, richiedendo esami più o meno approfonditi che, nella maggior parte dei casi, danno una chiara indicazione per quella che sarà la successiva terapia. Ma lo psicoterapeuta? Questa possibilità non ce l'ha, ed in più si deve basare sulle parole di una persona che non è un esperto del settore, con tutte le difficoltà del caso: mancanza di terminologia, ad esempio, spesso vengono usate parole come sofferenza, disagio, fastidio ma che per uno psicoterapeuta vogliono dire tutto e niente; altre volte, inizialmente, si parla di ansia e poi si scopre che è rabbia; frequentemente si parla di un disagio e magari lo si descrive minuziosamente, ma poi si scopre che il reale problema è un altro (come se ci si concentrasse sulla tosse ignorando la bronchite che è il vero problema da trattare). Per questo motivo, già la fase di diagnosi è più complicata e non è mai definitiva, ma in continua evoluzione mano a mano che si procede col lavoro. In alcuni casi è anche necessario "allenare" il paziente ad ascoltarsi meglio per poter essere più preciso o fornire una psicoeducazione adeguata per costruire un linguaggio condiviso. Successivamente alla fase di diagnosi, inizia il trattamento: e qui ci troviamo a fronteggiare la differenza più importante. Una terapia medica prevede un farmaco o un trattamento che hanno una loro efficacia di per sé, basta assumerli o aderire al trattamento perché facciano effetto indipendentemente dal fatto che il paziente creda o meno nella cura prescritta; l'impegno richiesto è essenzialmente ricordarsi di prendere una terapia o sottoporsi ad un trattamento/intervento, dopodiché la responsabilità non è più dell'interessato. In più, la relazione col paziente non è fondamentale ai fini del risultato (anche se è dimostrato che per alcuni trattamenti facilita o addirittura ne migliora l'efficacia): il farmaco o l'intervento fanno effetto indipendentemente dal rapporto che si ha con il medico. In psicoterapia non è così: innanzitutto una buona e sana relazione con il terapeuta è già una parte importante della cura (considerando che la maggior parte dei problemi, al di là dei sintomi, è causata da una passata relazione disfunzionale con le figure di attaccamento primarie), ma, tale relazione, va costruita con il tempo, poiché non è presente immediatamente e ci possono essere difficoltà nel crearla, proprio per la natura del disagio di chi chiede aiuto. Già da qui si capisce che è richiesto un impegno molto più attivo perché è necessario mettersi in gioco come persona in toto. La seconda problematica deriva dal fatto che il paziente non si rende conto subito dell'importanza di questo strumento di cura per cui rimane concentrato sui sintomi (che "non sono il problema"); ma anche lavorando sui sintomi è necessario un impegno: qualunque tecnica utilizzata non funziona di per sé, richiede impegno, fiducia nel fatto che possa funzionare (e quindi insistere anche se inizialmente non dà gli effetti sperati), va "tarata" sulla persona (e non esistono tabelle di riferimento con parametri oggettivi come per i farmaci) considerando che siamo tutti diversi e quindi anche questo richiede tempo. E se poi durante il lavoro emerge altro, visto che non abbiamo gli strumenti iniziali per "osservare" direttamente il problema? Chiaramente il tutto si complica, può essere necessario cambiare strada, fare dei passi indietro e ricominciare o ritarare il processo. Altra differenza che può spiazzare è l'andamento della "guarigione": nei trattamenti medici siamo abituati ad osservare un miglioramento lineare e relativamente rapido, al massimo qualche stop; in psicoterapia il percorso è più ondulante; è possibile avvertire momenti di peggioramento a livello sintomatico e di sofferenza, che addirittura sono auspicati come indice del fatto che il percorso sta funzionando, e spesso non si è preparati/abituati ad un eventuale andamento alterno. Ciò accade perché nel modello medico la sintomatologia è legata in modo molto più stretto al disturbo per cui risulta più semplice pensare che la cura funzioni tanto più quanto più i sintomi diminuiscono; in psicoterapia, usare la stessa modalità di misurazione può essere fuorviante in quanto ci possono essere passi importanti verso la risoluzione del problema, i quali però non incidono subito in maniera significativa sui sintomi. Da quanto descritto poc'anzi, frequentemente le persone che giungono in psicoterapia si aspettano una diagnosi più o meno rapida ma, soprattutto, una "ricetta" da seguire che faccia effetto immediatamente; altri considerano presentarsi alla seduta come la cura per cui basta andare che poi ci pensa il terapeuta a guarirli. In pratica, i pazienti sono motivati alla psicoterapia ma non al cambiamento; si aspettano di guarire senza cambiare, senza mettersi in gioco attivamente quando i sintomi derivano da stili di pensiero o modalità di comportamento disfunzionali che è necessario modificare. Lo psicoterapeuta può accompagnare in questo percorso di scoperta, può fornire gli strumenti per leggersi dentro e può aiutare nel processo di cambiamento laddove ci siano difficoltà, ma poi spetta all'individuo guardarsi dentro per fornire le informazioni necessarie su cui riflettere (il terapeuta non legge nella mente, non può conoscere ciò che non viene detto) e l'impegno verso il cambiamento (il terapeuta non può cambiare ciò che non vogliamo cambiare e non può toglierci la fatica o il disagio iniziale dello sperimentare modalità nuove, o di entrare in contatto con esperienze spiacevoli della nostra vita).
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Prima di vedere come questi farmaci possano essere utilizzati come aiuto in particolari momenti di una psicoterapia, vediamo di conoscerli un po' meglio.
Con il termine generico di psicofarmaci vengono intesi tutti quei principi attivi che agiscono a livello del Sistema Nervoso Centrale (SNC), che aumentano o diminuiscono il rilascio di particolari neurotrasmettitori. Le principali categorie di psicofarmaci sono quattro:
ANSIOLITICI I farmaci ansiolitici trovano impiego nel trattamento dei disturbi d'ansia di vario genere. Poiché si ritiene che i disturbi ansiosi siano legati a neurotrasmettitori quali l'acido γ-amminobutirrico (GABA), la serotonina e la noradrenalina, i farmaci ansiolitici vanno ad agire a livello dei sopracitati neurotrasmettitori. Gli ansiolitici a loro volta si dividono in:
SEDATIVI IPNOTICI I sedativi ipnotici sono una particolare classe di psicofarmaci impiegata nel trattamento dell'insonnia. Per questo motivi vengono chiamati "farmaci per dormire" o sonniferi. Generalmente, gli effetti terapeutici dei sedativi ipnotici sono dose-dipendenti, cioè dipendono dalla quantità di farmaco somministrato: a basse dosi, i sedativi ipnotici inducono sedazione; a dosi maggiori, provocano ipnosi (cioè sonno). Si dividono in:
ANTIDEPRESSIVI Gli antidepressivi sono psicofarmaci largamente impiegati nel trattamento dei disturbi dell'umore, quali la depressione e il disturbo bipolare, ma non solo. Infatti, questi principi attivi vengono utilizzati anche nel trattamento di altri disturbi e patologie, come il dolore neuropatico, i disturbi ossessivo-compulsivi e i disturbi d'ansia. Gli psicofarmaci ad azione antidepressiva esplicano la loro attività sostanzialmente attraverso la modulazione della neurotrasmissione serotoninergica, noradrenergica e dopaminergica. Più precisamente, gli antidepressivi aumentano il segnale di questi neurotrasmettitori. Gli antidepressivi possono essere classificati in funzione della struttura chimica e del loro meccanismo d'azione.
ANTIPSICOTICI o NEUROLETTICI Gli antipsicotici (o neurolettici) sono psicofarmaci impiegati nel trattamento delle diverse forme di psicosi, come, ad esempio, la schizofrenia, i disturbi schizofreniformi, i disturbi deliranti o i disturbi psicotici indotti da sostanze. La maggior parte dei farmaci antipsicotici agisce diminuendo la trasmissione dopaminergica e aumentando quella serotoninergica. Infatti, si ritiene che i disturbi psicotici possano essere causati da un eccessivo segnale della dopamina, cui può associarsi un deficit di serotonina. Generalmente, gli antipsicotici hanno un effetto calmante e antiallucinatorio, e stabilizzano l'umore nei pazienti affetti da psicosi. Gli antipsicotici possono essere classificati in funzione della loro struttura chimica:
Terminata la presentazione di questi farmaci, che tanto spaventano le persone al solo sentirli nominare, vediamo di sfatare alcuni miti, di capire come si usano e quello che possono fare nel trattare un disturbo psicologico. Innanzitutto, prima credenza errata è che questi farmaci possano fare una specie di "lavaggio del cervello", far cambiare personalità alle persone o renderle "zombi". Le prime due credenze sono semplicemente errate perché gli psicofarmaci non hanno effetto diretto sul pensiero: gli psicofarmaci agiscono sull'emotività riportandola a livelli tollerabili/normali, così come le sensazioni fisiche legate ad essa: che poi questo possa influire anche sul nostro modo di vedere le cose o sul comportamento, può esserne una conseguenza ma non un effetto diretto del farmaco, è una cosa che decidiamo noi. Sul fatto di rendere "zombi", se accade è perché sono dosati male (non dev'essere l'azione voluta del farmaco) o purtroppo un effetto collaterale degli antipsicotici di vecchia generazione dopo anni di somministrazione. Un'altra informazione che si sente spesso è che creino dipendenza e assuefazione: ciò è vero per gli ansiolitici, ma questa categoria di farmaci andrebbe assunta per periodi limitati di tempo o al bisogno; nel caso serva un'azione più lunga, conviene assumere un antidepressivo (SSRI), che non dà questi effetti. Convinzione sugli antidepressivi è che facciano ingrassare: per alcuni è vero ma per altri no (come l'escitalopram). La Fluoxetina, inizialmente, riduce addirittura l'appetito. Tante delle persone che ingrassano non realizzano che non è un effetto diretto del farmaco antidepressivo, ma del fatto che iniziano a stare bene. Molte persone depresse non si rendono conto o, se se ne rendono conto, sottovalutano, la componente ansiosa che spesso è associata alla depressione. Molti ricevono infatti diagnosi di sindrome mista ansioso-depressiva. La componente ansiosa è associata all'attivazione del Sistema Nervoso Simpatico che è accompagnata dalla parte catabolica del metabolismo: bruciamo energia per la reazione d'allarme iniziale e per mantenere la fase di resistenza (alla minaccia) poi. Quando l'antidepressivo inizia ad agire sull'ansia abbassandola, si disattiva la reazione difensiva, e con essa il Sistema Nervoso Simpatico e la parte catabolica del metabolismo. Di fatto non consumiamo più energia come prima ed inizia addirittura la fase anabolica del metabolismo, associata spesso ad un aumento dell'appetito, ovvero quella che serve per ricostruire ciò che abbiamo consumato nella fase catabolica, con conseguente aumento del peso, finché il metabolismo non si riassesta (per una spiegazione più approfondita leggi questo articolo sulla componente neurobiologica della depressione). Così come, a volte, si sente dai media che qualcuno si è suicidato a seguito dell'assunzione di antidepressivi. Ciò può avvenire se chi li prescrive non indaga bene la storia (precedenti atti autolesivi) e il disturbo della persona che ha di fronte, per esempio, non facendo domande relativi a pensieri autolesivi. Bisogna raccogliere queste informazioni perché il primo effetto dell'antidepressivo è ridare energia alla persona e, solo successivamente, agisce sull'umore: va da sé che, ridare energia ad una persona che come progetto ha quello di suicidarsi, non è esattamente funzionale, se non in regime di ricovero o sotto stretta sorveglianza. Per quanto riguarda il loro utilizzo, è da precisare che gli psicofarmaci hanno un effetto sintomatologico: il loro beneficio si ha fintantoché si assumono, ma non curano il disturbo, ed è qui che interviene la psicoterapia (che invece incide sul disturbo). Tanti fanno l'errore di sospendere i farmaci appena stanno meglio, non capendo che stanno bene proprio perché li assumono, non perché hanno curato il disturbo. La guarigione avviene a seguito di modificazioni importanti nel modo di pensare e interpretare il mondo che ci circonda (relazioni, lavoro, impegni, ecc.), e questo non avviene per mezzo di un farmaco ma attraverso un percorso mirato di psicoterapia. Quindi, la domanda che ci potremmo porre ora è: meglio gli psicofarmaci o la psicoterapia? A mio avviso, gli psicofarmaci dovrebbero essere d'appoggio alla psicoterapia quando necessario (fatta eccezione per alcuni disturbi cronici come possono essere le psicosi o il disturbo bipolare, per i quali i farmaci sono assolutamente necessari). Nel caso in cui la sintomatologia vada a compromettere in modo significativo il funzionamento della persona e/o la fruibilità del lavoro svolto, l’assunzione di psicofarmaci può essere una valida stampella in attesa degli effetti del percorso in svolgimento. N.B. Cortesemente non inviate commenti chiedendo consigli farmacologici, non verranno accettati: non sono un medico per cui non ho conoscenze sufficienti per poterne dare, e comunque non ne darei senza valutare di persona il paziente. Rivolgetevi al medico di famiglia o ad un medico psichiatra. Grazie. Ho deciso di scrivere un mio pensiero riguardo una delle tante domande che, spesso, le persone si fanno prima di chiedere un aiuto psicologico ad un professionista: "qual è il giusto prezzo da pagare per una seduta di psicoterapia o per una consulenza psicologica?". Rispondere a questa domanda presuppone prendere in considerazione una serie di fattori importanti, cercherò di toccarne alcuni senza la pretesa di essere esaustivo in merito, ma di far riflettere su quelli che mi sembrano i più importanti. Prima di tutto dobbiamo pensare che siamo di fronte ad un professionista che, se anche utilizza "solo" parole e quindi non si vedono strumenti o macchinari particolari come può capitare in una visita medica, sta comunque lavorando. La parola è lo strumento dello psicologo, il suo bisturi, il suo stetoscopio, la sua vanga, ecc. Una seduta di un'ora (il caso più frequente) non è come una chiacchierata al bar, non si ricevono solo consigli come può dare il buon amico o la pacca sulla spalla perché, se così fosse, non esisterebbe la psicoterapia: una persona che si rivolge ad uno psicoterapeuta, in genere, ha già provato tutte le altre soluzioni senza risultati (e quindi consigli di amici e parenti, rassicurazioni varie, visite mediche, trattamenti alternativi, ecc.). Per lo psicoterapeuta, scegliere di dire una parola piuttosto di un'altra, in un momento particolare, scegliere di tacere o di fare un gesto invece di un altro, è faticoso e porta via energie: durante una seduta è necessario un continuo monitoraggio di sé stessi e del paziente.
Secondo, chi ha il titolo di psicologo è un professionista che ha preso una laurea, ha fatto un tirocinio e ha superato un esame di stato. Chi poi è anche psicoterapeuta ha fatto un'ulteriore scuola di specializzazione di almeno quattro anni, ancora un tirocinio e un esame di specializzazione, quindi nessuno può improvvisarsi tale da un giorno all'altro. Molti, spesso, si credono psicologi perché sanno ascoltare, dare consigli ma un conto è pensare di esserlo e un conto è avere la preparazione per esserlo. Un percorso di questo tipo, con le conseguenti competenze acquisite, va riconosciuto nella parcella...credo. Senza considerare che qualcuno ha svolto ulteriori corsi di formazione. Fatte queste premesse, è evidente che chi si "svende" a poco prezzo o si sta svalutando o, più frequentemente, non sta facendo quello per cui lo stiamo pagando, stiamo facendo una chiacchierata "al bar". Su internet spesso si possono trovare pacchetti di 7-8 sedute a 30€ o simili, qui è chiaro che siamo di fronte ad una truffa, ad una persona che non sa qual è la fatica di una seduta di psicoterapia e quindi 30€ per qualche chiacchierata sono più che sufficienti. Diffidare sempre di chi non dà un giusto valore al lavoro che sta facendo e, soprattutto, controllare sempre che la persona, a cui stiamo affidando la nostra salute, sia un professionista iscritto all'albo (Albo nazionale degli psicologi) e quindi con la preparazione e i titoli giusti per aiutarci. Detto questo meglio spendere qualche euro in più, ma sicuri di essere in mano ad un professionista, che spendere poco e buttare i soldi, nella migliore delle ipotesi, o farvi addirittura del male nella peggiore. Per orientarvi meglio: tariffario dell'ordine nazionale degli psicologi. 4/8/2014 Interviste a personaggi importanti della psicoterapia cognitivo comportamentale e nonRead NowCinque viedointerviste fatte dalla redazione di State of Mind a personaggi importanti nel panorama italiano della psicoterapia: Gianni Liotti, Antonio Semerari, Giancarlo Dimaggio, Isabel Fernandez e Francesco Mancini. |
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Blog del Dr. Fabio Boccaletti - Psicologo e PsicoterapeutaCategorie
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