Lo stile di accudimento genitoriale (come un genitore gestisce la sofferenza del figlio) influenza cosa apprenderà il figlio su se stesso e sugli altri, e come si prenderà cura di sé, quindi che persona diventerà da adulto.
Vediamolo ora attraverso quattro esempi. Immaginatevi quattro bambini che si fanno male (ma potrebbe essere anche un disagio psicologico: una preoccupazione, un momento di tristezza, ecc.) e ognuno di loro, per questo, torna a casa. Ecco che cosa imparano su se stessi e sugli altri in base alla risposta dei genitori. Susanna ha cinque anni, cade, si sbuccia un ginocchio, torna a casa a piangere. Sua mamma la guarda in modo molto amorevole e le dice: “Oh poverina ti sei fatta male! Fa male, vero? Vieni qui, ora ti pulisco la ferita: fa male, lo so”; quindi prende un cerotto oppure soffia un po' sulla ferita, tutte cose che i genitori di solito fanno. Dopo un po' la bambina si annoierà sicuramente e ritornerà fuori a giocare. Se la mamma dovesse chiederle: “Ti fa ancora male il ginocchio?”, probabilmente risponderebbe “No, no” mentre sta correndo fuori dalla porta. Quindi Susanna ha imparato che le sue emozioni e i suoi bisogni sono importanti, che quello che prova è importante per la mamma e anche per gli altri, e quando si sentirà male esprimerà i suoi sentimenti in modo genuino e libero. Passiamo al secondo bambino. Mario va a casa e sua mamma sta cucinando. La mamma continua a lavorare con un’espressione del viso tra il sono molto stanca e l'assente. Probabilmente Mario ha già visto quel viso e quella espressione molte volte prima, quindi dice: “Ok, sono caduto ma non ho niente”. La mamma continua con le sue faccende e poi gli risponde : “Ok, vai a lavarti, è l'ora di cena”. Mario impara a non riconoscere le sue emozioni e a non dar loro importanza; quando si sente giù, non si dà neanche il tempo di capire che cosa sta provando davvero, e impara che non si può sentire male, non può sentirsi giù perché gli altri non se ne interessano e non vuole farli preoccupare. Mario impara anche, e questa è l'altra faccia della medaglia, che non è in grado di riconoscere le emozioni degli altri: se non è in grado di riconoscere le sue, non può riconoscere neanche quelle degli altri. Per tanto, quando gli altri si sentono male, si distanzia dalla situazione e si focalizza su se stesso. Potrebbe sembrare un atteggiamento un po' egoista, ma semplicemente, a volte, è quello che le persone imparano con genitori di questo tipo. Terzo caso. Laura corre a casa, sta piangendo mentre la mamma è già uscita per cercarla. La mamma ha sentito che la bambina stava piangendo, sentiva anche delle urla e ha capito che era successo qualcosa di grave, quindi è uscita per cercarla. Quando la vede è così ansiosa che la prende per un braccio e le urla: “Non ti ho detto mille volte di stare attenta?! Mi è quasi venuto un infarto per colpa tua! Forza, andiamo a casa!”. Chiaramente Laura è mortificata e continua a piangere. Una volta che la mamma si calma, perché non è successo niente di grave, le dice semplicemente: “Non piangere, non è successo nulla. Dai, non piangere più che ti fa solo brutta”. Che cosa impara Laura? Che le sue emozioni travolgono gli altri, travolgono sia lei sia gli altri e si sente in colpa per il fatto di essere così (perché preoccupa gli altri, li fa star male), indipendentemente dall'emozione. Ci vuole molto tempo affinché possa sentirsi meglio, poiché non sa cosa fare con le sue emozioni. Cerca disperatamente gli altri, ma in realtà anche se rispondono alla sua richiesta non riesce a calmarsi; a volte si arrabbia addirittura con loro quando cercano di aiutarla. Per quanto riguarda gli altri, quello che impara è che le emozioni degli altri la travolgono, non sa come relazionarsi con loro di fronte a situazioni difficili: quando le persone stanno male, pensa che sia colpa loro, e quando gli altri non si calmano in fretta, diventa ansiosa o addirittura si arrabbia. L'ultimo esempio. Paolo va a fare un giro prima di tornare, non riesce ad andare direttamente a casa perché probabilmente ha paura della reazione dei genitori: si è spaventato molto per la caduta e non riesce a smettere di piangere. Alla fine va a casa e, quando arriva, la mamma gli grida: “Smettila di piangere o ti darò io una buona ragione per farlo! Cadi sempre, sei così stupido, devi stare più attento”. Naturalmente Paolo non si calma e continua a piangere. Arriva suo papà che gli dà una sberla; il bambino cade per il colpo e il papà gli urla: “Ne vuoi ancora?”, quindi lui si congela e smette di piangere. Che cosa impara Paolo? Che mostrare le sue emozioni è davvero pericoloso, impara che, se chiede aiuto, potrebbe farsi male, e impara che si merita ciò che gli sta accadendo: è colpa mia se sono così. Come difesa cosa penserà? Che non capisce le emozioni o i loro usi, che di fatto sono inutili. Penserà che le persone che stanno male in realtà siano deboli, disprezzerà la debolezza, la vulnerabilità e la paura. Penserà di non aver bisogno di nessuno e di non provare niente. Se abbiamo dei genitori focalizzati sui propri bisogni (secondo esempio), e quindi non prestano attenzione al bambino o non importa loro, oppure sono malati o stanno facendo qualcos'altro, i figli penseranno che le emozioni e i loro bisogni non sono importanti, l'atteggiamento difensivo del bambino sarà: focalizzarsi solo su se stesso, le emozioni e i bisogni delle altre persone, in realtà, non sono importanti, o quanto meno non gli interessano. Se abbiamo dei genitori molto critici (terzo esempio), avremo un adulto che se la prende con se stesso quando si sente giù, e sarà molto critico nei confronti di se stesso. Le difese saranno essere molto critico nei confronti degli altri e dare la colpa agli altri per tutto quello che succede. Se invece abbiamo dei genitori soverchiati dal disagio del bambino (terzo esempio), da adulto questo non saprà cosa fare del suo disagio, diventerà ansioso e disperato quando si sentirà male. Nella fase della difesa non sopporterà quando gli altri si sentono male, penserà che siano deboli e li disprezzerà. Se abbiamo un ambiente caotico ed eccessivamente punitivo (quarto esempio), avremo un adulto con dei comportamenti molto rigidi e che improvvisamente può perdere il controllo. Le difese saranno: non seguire le regole, ne ha ricevute talmente tante che adesso non ne vuole seguire nessuna, oppure, punire gli altri come hanno fatto con lui. E voi? Che bambino pensate di essere?
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Blog del Dr. Fabio Boccaletti - Psicologo e PsicoterapeutaCategorie
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