Per comprendere a fondo l'impatto del trauma sul cervello in via di sviluppo, è necessario tener presente sia il trauma in sé, sia il contesto familiare di riferimento. Per un bambino e per un adolescente, un evento traumatico è qualsiasi evento che sovrasti la sua capacità di gestire e regolare le reazioni emotive. La capacità di gestirle dipende dalla fase di sviluppo in cui il cervello si trova. La capacità di elaborare i traumi, però, può essere affinata o ostacolata dalle prima relazioni infantili. Nel bambino la corteccia cerebrale, sede di ragionamenti e associazioni, non è completamente sviluppata, per cui questa funzione riflessiva viene svolta, in modo vicario, dagli adulti significativi, che attribuiscono un significato agli eventi. Al bambino basta sintonizzarsi sullo stato mentale del caregiver per sentirsi al sicuro o in pericolo. Per esempio nei bambini piccoli, vittime di catastrofi naturali, l'immagine traumatica ricorrente non è tanto quella relativa a scenari di distruzione, ma quell'espressione spaventata del volto della madre. Se gli adulti non svolgono questa funzione, si crea una condizione di vulnerabilità, che influenzerà negativamente sia la capacità di elaborare gli eventi, che subirà un arresto, sia l'intero sviluppo, a livello cognitivo, emotivo e sociale. In questo caso, le emozioni e le sensazioni sono così intense che restano immagazzinate nella parte "emotiva" del cervello (il cervello limbico), generando sintomi e comportamenti disfunzionali, mentre la parte "pensante" del cervello (la corteccia), già di per sé non completamente matura, non si connette con il cervello limbico e non può pertanto discriminare il passato dal presente, né riflettere sull'esperienza in modo utile e costruttivo.
Le risposte al trauma in età evolutiva Il PTSD nella fascia d'età prescolare A queste età, la dimensione dell'intrusività si può osservare nel gioco post-traumatico, nella presenza di ricordi ricorrenti, nei sogni e nei sintomi dissociativi. Il gioco post-traumatico è un gioco ripetitivo, contenente aspetti, scene o sequenze dell'evento traumatico, espressi in maniera esplicita o rappresentati simbolicamente. I tentativi di elaborazione del cervello infantile si esprimono attraverso la rimessa in scena di quanto accaduto, con la riproduzione compulsiva di alcuni aspetti della situazione traumatica, ma questo può avvenire anche attraverso il disegno. Il gioco post-traumatico contiene molti elementi di realtà, a discapito degli elementi fantastici, e perde il suo valore catartico. L'avvenuta elaborazione del ricordo traumatico, invece, si esprime attraverso un gioco simbolico esplorativo oppure attraverso un gioco che riproduce le stesse tematiche dell'evento traumatico, ma in maniera adattiva, cioè i contenuti si modificano in maniera dinamica verso finali alternativi, con raggiungimento dello stato di calma ed il ritorno al gioco libero esplorativo. I ricordi intrusivi ricorrenti sono probabilmente presenti alla mente del bambino quando fa affermazioni o domande sull'evento, anche se non necessariamente traspare preoccupazione dal volto e dalla prosodia, ma, al contrario, può trasparire fascinazione, soprattutto al di sotto dei 6 anni. Anche i sogni possono presentare contenuti spaventosi, non sempre chiaramente collegati al trauma e non sempre identificabili. I sintomi dissociativi equivalenti dei flashback dell'adulto sono evidenti quando avviene la riproduzione di alcuni aspetti dell'evento in modo inconsapevole: ad esempio, un bambino che ha vissuto un terremoto e che sta giocando con i pupazzetti, sente un oggetto cadere all'improvviso con un forte tonfo e comincia a spargere i giochi e a buttarli a terra. L'iperarousal può esprimersi attraverso l'iperattività o attraverso una forma di eccitazione generalizzata, che fa apparire i bambini come allegri in modo ostentato e "su di giri". Oltre a questo, tutta una serie di cambiamenti comportamentali possono essere descritti dai genitori in seguito all'evento. I bambini in età prescolare, in genere, hanno difficoltà a verbalizzare le loro emozioni e possono scoppiare a piangere o diventare molto tristi all'improvviso oppure lamentare sintomi fisici, come cefalea e dolori addominali. Si possono osservare regressioni a fasi di sviluppo precedenti, per cui possono di nuovo comparire crisi evolutive che erano già state superate, come la fobia dell'estraneo, l'ansia da separazione, l'enuresi notturna o diurna, la paura del buio, oppure avviene un ritorno ad abitudini ormai abbandonate, come succhiare il pollice, svegliarsi la notte e il co-sleeping. Il PTSD nel bambino in età scolare A quest'età, non sempre i bambini manifestano sintomi dissociativi come i flashback, ma possono collocare gli eventi traumatici in un ordine errato e possono arrivare a pensare che alcuni segni potevano preannunciare l'evento traumatico, per cui si concentreranno su questi per evitare che possa accadere di nuovo, vivendo in uno stato di allerta. L'evitamento può essere associato a scarso o assente interesse per il gioco o lo sport, si possono ridurre notevolmente i comportamenti esplorativi, la disponibilità nel partecipare a nuove attività e la ricerca del contatto con i pari. Le alterazioni negative dei pensieri e dei sentimenti si manifestano attraverso l'incremento di emozioni come la collera, la tristezza, la vergogna, la sensazione di confusione e la scarsa espressione di emozioni positive come la gioia. L'iperarousal può interferire negativamente sul rendimento scolastico, sul comportamento e può creare problemi nelle relazioni con i coetanei. Il PTSD nell'adolescente Nella fascia d'età adolescenziale, il PTSD si manifesta principalmente attraverso immagini intrusive, di cui spesso i ragazzi non riescono a parlare, inquietudine ed aggressività, disturbi del sonno e difficoltà di concentrazione. Quando i traumi sono ripetuti o prolungati, l'adolescente può soffrire di disturbi dissociativi importanti e sintomi psicotici. Quando l'evento traumatico riguarda un abuso, l'adolescente può anche sviluppare, oltre ai fenomeni dissociativi, lamentele somatiche, sentimenti d'impotenza, perdita di controllo, ostilità, disturbi alimentari e può andare incontro ad agiti sessuali ed essere incapace di mantenere buone relazioni sociali. Gli adolescenti possono modificare radicalmente le loro abitudini di vita e manifestare il PTSD in due modi opposti: restando ancorati ad una fase pre-adolescenziale oppure sperimentando una fase adolescenziale spericolata, ai limiti della sicurezza. Tuttavia, a volte, nello stesso ragazzo coesistono più caratteristiche dell'una e dell'altra modalità descritte di seguito. Nel primo caso, l'angoscia ed i pensieri catastrofici minano quel senso di sicurezza che è necessario per separarsi dalle figure genitoriali e per investire nelle relazioni con il gruppo dei pari e nel futuro, per cui traumi molto gravi possono ritardare enormemente l'età dello svincolo ed ostacolare il passaggio all'adolescenza, fase della vita in cui deve avvenire una graduale conquista dell'autonomia. In questi casi, sono più evidenti i sintomi di evitamento che si esprimono attraverso la perdita d'interesse per attività precedentemente gratificanti, attraverso la limitazione dei rapporti con i familiari e con i coetanei e la riluttanza a stringere nuove amicizie, fino al ritiro sociale. Possono, inoltre, comparire limitazioni nel raggiungimento di nuovi livelli di autonomia, per esempio nel prendere la patente e nel perseguire aspirazioni per il futuro. Per quanto riguarda le alterazioni del pensiero e degli affetti, questi ragazzi possono facilmente pensare di essere dei vigliacchi, degli indegni o convincersi di essere cambiati in modo tale da non essere più accettati dagli amici, per esempio sentendosi inadeguati nella forma fisica. Inoltre, possono provare tristezza, fino ad una franca depressione o alla restrizione della gamma dei sentimenti, sentirsi distaccati dall'ambiente e dagli altri, sensibilità al giudizio altrui, sviluppare comportamenti auto-lesivi e idee suicidarie. Un'altra fascia di adolescenti risente maggiormente dell'iperarousal ed è più soggetta a scoppi d'ira, porta all'estremo la ricerca di emozioni forti, rischiando di arrecare danno a se stessi e ad altri con comportamenti a rischio, può sviluppare veri e propri disturbi della condotta e diventare più vulnerabile all'uso eccessivo di sostanze che, di per sé, fa parte di, e rinforza, atteggiamenti d'evitamento. Il cervello degli adolescenti è particolarmente vulnerabile agli effetti del trauma sull'arousal, poiché i circuiti cerebrali della dopamina subiscono un potenziamento a quest'età, con un decremento dei livelli di base e un incremento del rilascio in seguito ad esperienze gratificanti, motivo per cui aumenta la ricerca di esperienze nuove ed eccitanti, con tendenza all'impulsività e alle dipendenze. Tra l'altro, in quest'epoca della vita, la corteccia cerebrale e le sue funzioni riflessive non sono arrivate a completa maturazione e i ragionamenti risentono ancora di un sovraffollamento di informazioni irrilevanti, prima che il pruning si concluda. Se, da una parte, le caratteristiche del cervello adolescenziale servono a portare alla massima espressione i comportamenti esplorativi, per l'acquisizione di nuove abilità e di nuove soluzioni creative per la risoluzione di problemi, dall'altra, esse espongono maggiormente l'individuo agli effetti dannosi del trauma, soprattutto se la funzione riflessiva vicariante genitoriale si mostra carente. Inoltre, le conseguenze di eventuali esperienze traumatiche infantili non risolte e silenti possono emergere proprio durante l'adolescenza e sommarsi ai traumi più recenti con un effetto a valanga man mano che avviene la sfoltitura dei neuroni attraverso il pruning. Il contesto di accudimento come fattore di rischio o di protezione Il contesto di accudimento può modulare le reazioni infantili al trauma, ridimensionando o amplificando l'impatto che tale evento avrà: per tanto, se la figura di attaccamento (genitore) si mostra traumatizzata o precaria, inadeguata o, addirittura, maltrattante, si creano i presupposti necessari per l'insorgenza di un PTSD acuto o cronico. In altre parole, se gli adulti non elaborano, il bambino non elabora a causa dell'immaturità della parte corticale del cervello e dell'incompleta mielinizzazione delle cellule nervose. Per tale motivo, l'adulto deve essere in grado di far fronte alla minaccia e alle sue conseguenze. Per comprendere l'importanza della relazione sicura con il genitore al fine di limitare gli effetti del trauma, è necessario allargare il discorso alla teoria dell'attaccamento. I neonati ed i lattanti esposti al pericolo non possono reagire con risposte di attacco/fuga, tipiche del sistema di difesa, poiché il livello del loro sviluppo motorio non lo consente. I bambini più grandi, seppur in grado di spostarsi autonomamente, non possono portare a compimento le risposte di attacco/fuga poiché non hanno la forza fisica per attaccare, né si sentono in grado di fuggire senza la presenza di una figura di attaccamento che garantisca la loro sopravvivenza. Lo scenario che si prospetta di fronte alla minaccia fisica è la morte, ma il cervello dispone di altre strategie comportamentali selezionate evolutivamente per aumentare le possibilità di sopravvivenza della specie. Nelle prime fasi di minaccia, i bambini provano terror panico, con attivazione del sistema nervoso simpatico e iperarousal. A questo punto, si attiva il sistema dell'attaccamento e il bambino produce dei segnali di richiamo, come il pianto, che innesca il sistema di accudimento nella figura di attaccamento, con lo scopo di ricevere da essa protezione e conforto. Se lo stile d'attaccamento col genitore è di tipo sicuro, il genitore risponde prontamente ed in modo adeguato alla richiesta di vicinanza protettiva, ripristinando lo stato di calma. Secondo la teoria polivagale di Porges, l'interazione col genitore determina una regolazione dell'arousal del bambino attraverso il ramo ventrale del nervo vago, che è la branca più evoluta del sistema parasimpatico. Il freno vagale, attivato nel bambino dall'atteggiamento calmo, dal tono di voce pacato e, attraverso il contatto fisico, dalla sincronizzazione madre-bambino dei battiti cardiaci e delle frequenza del respiro regolari, inibisce la risposta simpatica. Soltanto quando è attivo il ramo ventrale del nervo vago è possibile l'interazione sociale, attraverso la quale, in un secondo momento, il genitore filtra, riprocessa le informazioni e le trasmette al figlio con un significato adattivo. Soltanto in questo stato fisiologico il bambino può avvalersi del modello rappresentato dal genitore per l'acquisizione di efficaci strategie di coping e può imparare ad organizzare e ad integrare le informazioni a livello cognitivo e affettivo, per poter elaborare l'evento. A volte, però, il genitore stesso può essere traumatizzato e/o sviluppare un PTSD e possono verificarsi situazioni in cui non riesce a raggiungere egli stesso il tono ventro-vagale e, di conseguenza, fallisce nel regolare gli stati emotivi del bambino, ritrovandosi poi sopraffatto dai sensi di colpa o a nutrire risentimento e insofferenza verso le reazioni post-traumatiche del figlio che non riesce a gestire. In questi casi, il bambino può sviluppare il PTSD. Se il genitore elaborerà, aiuterà anche il bambino a risolvere il disturbo, altrimenti entrambi i membri della diade attiveranno reciprocamente l'arousal l'uno dell'altro ed evocheranno la ri-sperimentazione dei sintomi da stress, per cui il PTSD del bambino potrà cronicizzarsi e dar luogo ad altri sintomi e, cosa ancor più grave, si altereranno le precedenti dinamiche relazionali, fino a modificare lo stile di attaccamento del bambino da sicuro a insicuro o disorganizzato. Nel caso dell'attaccamento insicuro evitante, il genitore può proteggere dalla minaccia fisica, ma subito dopo mostrarsi scarsamente empatico, perciò il bambino tende ad inibire le proprie emozioni post-traumatiche e a gestire da solo i propri vissuti, fino al distacco emotivo, per la convinzione che la richiesta d'aiuto disturbi il genitore, provocando l'allontanamento anziché la prossimità. Questo bambino potrà organizzare le informazioni relative al trauma solo a livello cognitivo e non a livello affettivo. Nel caso delle diadi insicure ambivalenti, il genitore protegge dalla minaccia fisica, ma subito dopo torna ad essere imprevedibile e incoerente nell'offerta di cura, per cui il bambino tenderà ad esasperare le proprie emozioni post-traumatiche per mantenere la prossimità con il caregiver. Le informazioni non saranno ben organizzate né a livello cognitivo né affettivo. Quando il caregiver non è presente o quando è egli stesso la fonte di minaccia e pericolo, come nel caso di un genitore maltrattante o dissociato, la strategia comportamentale del sistema d'attaccamento fallisce e viene abbandonata. Se non è possibile mettere in atto la risposta di attacco/fuga, si passa all'immobilità tonica (congelamento), durante la quale il simpatico resta attivo, ma la trasmissione dal cervello al corpo è bloccata, mentre dall'esterno e dal corpo continuano ad arrivare stimoli al cervello, cosicché il bambino continua a provare terror panico, ma è incapace di reagire. Se poi la situazione di minaccia persiste, si passa alla dissociazione, fino alla sincope vagale (finta morte), come possibilità estrema di difesa alla minaccia soverchiante. L'attività cardiaca subisce un rallentamento e la percezione del corpo diminuisce, in modo da produrre un effetto analgesico che riduce la reazione al dolore fisico e, in molti casi, l'accanimento dell'aggressore. In questo stato dissociativo, la corteccia è disconnessa dalle strutture sottocorticali: l'amigdala (che gestisce le emozioni e, soprattutto, la paura) continua a scaricare e non viene inibita dalle funzioni corticali e le informazioni collegate al trauma restano isolate e non integrate con il resto delle esperienze e delle conoscenze. I genitori maltrattanti e abusanti o dissociati provengono da una storia d'attaccamento disorganizzato, caratterizzato da lutti o abusi non elaborati in loro e, nell'accudire il figlio, risultano quindi spaventati/spaventanti poiché, nello stesso momento in cui un evento traumatico accade e attiva il sistema di attaccamento nel figlio, il pianto e l'angoscia del bambino riattivano le loro esperienze traumatiche non elaborate o dissociate, nonché il loro sistema di attaccamento disorganizzato. Il bambino si trova di fronte ad un genitore che viene travolto da emozioni proprie che non sa gestire e che non è, pertanto, in grado di offrirgli un contenimento affettivo, né una vera e propria protezione, fino al caso estremo del genitore maltrattante. Nel bambino si genera un conflitto senza soluzione, una paura nella paura, una paura "senza sbocco". Il trattamento del PTSD in età evolutiva L'obiettivo da raggiungere nella psicoterapia del PTSD in età evolutiva è garantire al bambino il ritorno ad una sensazione di prevedibilità e sicurezza. Nei bambini più grandi, questo significa riuscire a richiamare, narrare e riconsiderare il trauma e la risoluzione dei sintomi post-traumatici. Sia con il bambino che con i genitori è importante la psico-educazione sugli effetti del trauma e sulla ricaduta delle esperienze stressanti sul funzionamento delle persone esposte ad un evento critico; compatibilmente con il livello di sviluppo può essere necessario spiegare che prima che si senta di nuovo al sicuro potranno tornare la paura o i brutti pensieri e che si tratta di normali reazioni all'evento che gli è accaduto. Spesso, inoltre, i bambini traumatizzati vanno incontro a difficoltà scolastiche e di socializzazione, per cui può rendersi necessaria anche una consulenza agli insegnanti. La stabilizzazione del paziente e un ambiente sicuro costituiscono i presupposti essenziali per il buon esito della terapia: quando ci si trova di fronte a contesti familiari abusanti e maltrattanti, quindi, il primo passo da effettuare consiste nella presa in carico dell'intero sistema. Bibliografia A.R. Verardo - "Il disturbo post-traumatico da stress in età evolutiva: lo stile di attaccamento come fattore di rischio e/o protezione" - Rivista di psicoterapia EMDR, n. 37, Aprile 2019
3 Commenti
Gabriele
26/5/2021 12:55:27
Salve, io ho ormai 39 anni e so di aver subito un grande trauma a 6 mesi (essere scaraventato dalla culla dai padre che non sopportava i mori pianti), altri traumi...beh, leggendo i diari che mia madre scriveva della mia infanzia mi definiva cattivo, una lagna (quindi immagino anche trascuratezza perché so che il pediatra le disse che ero sano come un pesce e andavo svezzato). Altri traumi: padre violento e padre padrone. Quello che so è che la mia vita è stata un inferno. Mi sono mancate le basi su cui si costruisce la personalità. Tutte le psicoterapie hanno fallito. Depressione già durante l'adolescenza, poi a 35 anni grave, al punto da paralizzarmi. 4 ricoveri in psichiatria. Fino ad oggi qualche lieve e temporaneo miglioramento ma ormai sono rassegnato a un destino ineluttabile.
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Pietro
30/6/2021 04:18:29
Ma no! La tua vita è solo tua, di padri te ne potrai inventare quanti ne vuoi!
Rispondi
Deb
29/10/2023 01:07:57
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