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1/10/2018

Disturbo da stress post-traumatico (ptsd): visione sistemica e staging del disturbo

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Con questo articolo vorrei parlarvi di due concetti inerenti il Disturbo da Stress Post-Traumatico (per chi non sapesse di cosa si tratti, rimando alla pagina del sito dove ne sono riportate le caratteristiche: PTSD) da tenere in considerazione quando si vuole lavorare con questa problematica.
Innanzitutto il concetto di PTSD come "malattia sistemica" e non più soltanto disturbo afferente la sfera psicologica. La definizione che l'Organizzazione Mondiale della Sanità dà di malattia è questa: "il fallimento da parte dei meccanismi adattivi di un organismo che non riesce a reagire adeguatamente, normalmente o in maniera appropriata agli stimoli e agli stress cui l'organismo stesso è soggetto, e che produce un disturbo del funzionamento o della struttura di talune parti dell'organismo stesso." In più, sistemico sta ad indicare che influenza l'intero corpo e non un singolo organo o parte di esso (es. influenza, ipertensione, diabete, ecc.). A questo punto perché considerare il PTSD un disturbo sistemico? Per tre ragioni importanti:
  • è stato associato a probabilità molto maggiori di avere certe patologie somatiche
  • i sintomi somatici costituiscono parte integrante del disturbo
  • il disturbo è sostenuto dalla disregolazione sistemica delle funzioni autonomica e immunitaria.
Riguardo il primo punto, un serie di ricerche tra il 2014 e il 2016 rivela che, rispetto alla popolazione generale, chi soffre di PTSD ha una più alta probabilità di avere sindrome metabolica (38,7% - Rosenbaum, 2015), ipertensione (76,9% - Summer, 2016), iperglicemia (36,1% - Vaccario, 2014). Inoltre, è stato associato a probabilità molto maggiore di sviluppare asma, sindrome da affaticamento cronico, artrite reumatoide, fibromialgia, emicrania e mal di testa cronico, malattie cardiovascolari, malattie gastrointestinali, epilessia e disturbi renali e auto-immuni (McLeay, 2017).
I sintomi somatici sono spesso i primi a comparire e sono parte integrante del disturbo, ma sono altresì quelli che più facilmente vengono ignorati: si parla a tal proposito di disturbi del tratto gastrointestinale (colon irritabile su tutti), disturbi algici (mal di schiena cronico, mal di testa) e malattie cardiovascolari (ipertensione, irritabilità cardiaca).
Infine, il disturbo è sostenuto da una disregolazione del sistema nervoso autonomo a seguito di una sensibilizzazione dello stesso a eventi potenzialmente stressanti. Infatti il trauma può sensibilizzare i circuiti neurali, fino a generare cambiamenti elettrofisiologici a livello cerebrale, come la diminuzione permanente della soglia di eccitabilità. Queste modificazioni portano poi l'individuo a reagire in maniera eccessiva a eventi successivi al trauma, anche potenzialmente meno stressanti (comprese le successive memorie traumatiche intrusive), così da provocare un aumentato iperarousal se riattivati ripetutamente; gli stessi sistemi neurobiologici sensibilizzati, pertanto, non sono in grado di tornare alla situazione omeostatica (equilibrio) di partenza (McFarlane, 2010).
Sensibilizzazione
Sensibilizzazione
PTSD
Da quanto detto precedentemente, prendersi cura della parte somatica del disturbo è essenziale e non opzionale: prescrivere, e non consigliare, ai nostri pazienti attività fisica (almeno 150 minuti di attività aerobica a settimana), alimentazione corretta e prevenzione medica è imprescindibile.

Secondo concetto fondamentale, che dovrebbe tradursi in una pratica clinica pre-trattamento, è lo staging del disturbo. Lo staging è conseguente ad una visione longitudinale del disturbo che non rimane mai uguale a sé stesso col passare del tempo, a causa della biologia che cambia i fenotipi (il modo in cui si presenta) che devono essere gestiti nel trattamento sono molteplici.
  • Fase 0: esposizione al trauma, asintomatica, ma a rischio.
  • Fase 1a: sintomi indifferenziati di sofferenza (somatica), ansia lieve e irritabilità.
  • Fase 1b: sofferenza sottosoglia (3 criteri su 4 necessari soddisfatti) con parziale declino comportamentale e funzionale.
  • Fase 2: primo episodio di sintomi soglia completi (4 criteri su 4).
  • Fase 3: sintomi persistenti che possono fluttuare con menomazione continua.
  • Fase 4: malattia grave senza remissione con incremento di cronicità.
Qual è l'utilità clinica di questa visione/metodologia? Non farci sottovalutate le fasi 0 e 1a che spesso vengono minimizzate e non trattate; portarci a differenziare il trattamento secondo la fase in cui si trova il paziente; considerare la tempistica fondamentale: prima agiamo e meno complicazioni dovremo affrontare e si riduce il rischio cronicità; non farci dimenticare la fase 0 anche se è asintomatica: le ricerche dimostrano che la maggioranza di persone che sviluppa PTSD non ha sofferto di Disturbo Acuto da Stress dopo il trauma (quindi sono quelle che l'hanno gestito meglio) (Bryant, 2012). In conclusione, una sofferenza acuta grave rappresenta l'eccezione mentre il progressivo aumento dei sintomi (anche oltre l'anno dall'evento) è molto comune (Bryant, 2015). 

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