Vorrei provare a spiegare in parole semplici e comprensibili cosa genera e cosa mantiene un disturbo alimentare (escludendo il disturbo da alimentazione incontrollata che merita un discorso a sé) anche ai non addetti ai lavori. Parlo di disturbi alimentari perché è ormai accettata l'ipotesi trans-diagnostica per cui una persona, nell'arco della vita, può passare da un disturbo all'altro (più spesso da una fase anoressia ad una bulimica).
Iniziamo il "percorso". Generalmente la persona che soffrirà poi di un disturbo alimentare ha un'idea di sé come fortemente inadeguata e, per far fronte a questo disagio (spesso vera e propria sofferenza), cerca di essere perfetta (alti standard, intolleranza dell'errore) al 100%, non basta 99% perché equivale a 0 (pensiero bianco o nero), per ottenere ciò deve, con enorme fatica, tenere il più possibile sotto controllo tutti gli aspetti della propria vita, pena sentirsi fortemente inadeguata. Questo è il substrato di partenza, la vulnerabilità iniziale creata dallo stile familiare dove passa il messaggio: perfetta uguale voluta bene. A questo punto, per puro caso, può capitare che la persona venga criticata sul peso da un elemento significativo della cerchia sociale, un abito che non entra più, una taglia richiesta in un negozio che non va più bene cosicché, questa persona, inizia a focalizzare tutto il controllo sul cibo, sul peso e sulle forme corporee (a questo punto la prestazione per essere perfetta riguarda il peso). E' in questo momento che magari si inizia una dieta, anche prescritta da un professionista a volte, ed ecco che comincia la restrizione alimentare (con idee perfezioniste: devo diminuire di peso sempre, non sono ammesse debolezze, un biscotto mangiato è un fallimento esattamente come mangiarne un sacchetto, ecc.). La restrizione porta però ad affamarsi, a pensare di più al cibo con conseguente aumento dell'ansia perché il cibo è pericoloso (rappresenta la perdita del controllo con conseguente perdita di autostima) e quindi arriva inevitabile l'abbuffata con successivi sensi di colpa e disgusto verso sé stessi. Cosa fare a questo punto? Ripromettersi di non mangiare più, di non cedere più, restringere di nuovo insomma, ed ecco che il ciclo si ripete. Unito a questo processo che porta a quelle che si chiamano abbuffate alimentari, ne esiste un altro dovuto alla vulnerabilità emotiva di cui spesso soffrono queste persone. Per vulnerabilità emotiva si intende la presenza di un livello di attivazione emotiva di base più alto, che comporta una più alta facilità di sperimentare picchi emotivi sgradevoli unito ad un più lento ritorno allo stato di base. Ciò fa si che, nelle persone con disturbi alimentari, ci sia una minore gestione delle emozioni che danno luogo spesso ad abbuffate emotive questa volta per gestire le emozioni sgradevoli: rabbia, ansia, vuoto...
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Blog del Dr. Fabio Boccaletti - Psicologo e PsicoterapeutaCategorie
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